I Punk e il Pentagramma

Rimini, estate fine anni ’80.

Ho 26 anni e mi guadagno da vivere suonando in una band r’n’r da sette, dopo essere riuscito a scampare alle condanne definitive di una promettente carriera militare e di un rassicurante impiego in banca.

Scarico il Marshall Plexi e il Telecaster dal furgone: abbiamo un’ora di show a disposizione prima che i Cramps, “psicho-billy-punk” band, saltino sul palco. Kristy (“Poison Ivy”) e Erick (“Lux Interior”) non dormono mai e lo “sleeping (si fa per dire) – bus” assomiglia sempre di più ad una discarica viaggiante.

Rannicchiato nella mia cuccetta, conto le lattine di birra vuote che rotolano sul pavimento e sogno un letto pulito.

Dopo l’ennesima sosta in autogrill, ci fermiamo a Bologna per una visita “culturale” nel bar più famoso della città.

Una vetrina piena di dischi e altre cianfrusaglie attira la mia attenzione: entro e, dopo pochi minuti, esco con un libro di lettura del pentagramma sottobraccio.

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