Slep

“25 ANNI di CARCERE”

Un piovoso lunedì del 1997 sto varcando l’entrata del carcere delle “Vallette” per la prima volta. Il comune di Torino e il C.F.M. mi hanno proposto l’incarico di insegnare ai detenuti e io ho accettato (tempo dopo ho saputo che tutti gli altri interpellati avevano rifiutato).
Passo i miei documenti attraverso la feritoia del “block-house” agli agenti e ho in mente “Fulsom Prison Blues“, “Jailhouse Rock” e “Riot in cell-block #9“; i muri scrostati e l’odore di muffa nei corridoi mi fanno invece rivivere le scene di “Detenuto in attesa di giudizio” di Francesco Rosi.

Un cancello di metallo sbatte risuonando come una campana alle mie spalle; mi ritrovo davanti agli sguardi incuriositi di Salvo, Ahmet, Dejan, Saif, Dimutru, Abdul, Vito, Santiago e Agon, miei nuovi allievi. Un corso di chitarra senza chitarre è una cucina senza pentole.

Slep, Carcere delle “Vallette”

L'”istituzione” sembra non aver tenuto conto di questo insignificante dettaglio. Decido di arrangiarmi da solo, anziché rinunciare: un paio di concerti e qualche generosa elemosina riescono a rimediare alle “distrazioni” dei dirigenti e alla carenza di dotazioni.

Tiro avanti così per 25 anni, ricevendo da quelle persone molto più di quanto io creda di aver dato; la loro attenzione e stima non mi hanno mai fatto avvertire l’isolamento e l’oblio in cui sono stato abbandonato. Ora tutto sembra improvvisamente finito e non a causa della situazione del 2020; la vera “epidemia” è l’indifferenza cronica di chi conduce i giochi, da sempre.

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