Londra, estate 1982, Berwick St., Soho.
Il negozio-seminterrato stipato di zoot suits, la giacca piu’ 60’s–brit-pop-swinging london mai cucita, trasuda umidita’ dalle pareti di mattoni rossi smangiati dal tempo.
Non resisto e ne compro una. Esco in strada soddisfatto, agghindato come Keith Moon nel ’66.
Due passi veloci sul lastricato romano ed entro nel Marquee Club, fabbrica del rock inglese, in Wardour St.: mentre sono in coda per il biglietto (i veri londoners non saltano mai la coda), spio Wilko Johnson e la sua band intenti a montare i pochi essenziali strumenti su quel minuscolo palco, calpestato dalle suole dai grandi del rock mondiale fin dai tempi dei primi Beatles.
Sorseggio una (royal) pint di Beamish stout mentre uno dei due fondatori dei Dr. Feelgood, sovrani del pub rock londinese, imbraccia la sua Telecaster nera come un mitra e scivola su quelle tavole di legno inzuppate di sudore, fumo e alcol, come un surfer impazzito sulla schiuma dell’oceano.
Italia e (un po’ di) Francia, Germania, Austria, Spagna, ecc., anni ’90. Da anni corro senza sosta in lungo e in largo con la mia band Slep and the Red House: il menu principale di circa duecentosessanta gigs all’anno e’ farcito da blues e rock’n’roll e il primo album Six String Soul pare vendere discretamente bene.

Ma stasera l’adrenalina pre-esibizione e’ a mille: abbiamo un’oretta di show prima dei miei maestri-amici Lee Brilleaux e i suoi Feelgoods.
Cambio le corde alla mia Strat e vediamo di non sfigurare.
Dimenticavo: la mia zoot e’ poi diventata un regalo taylor made per Oscar, il cantante degli Statuto.

Continua… “La band” (Slep and the Red House)
